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Assegno divorzile nelle unioni civili: la Cassazione 25495/2025 e perché è una svolta

Assegno divorzile nelle unioni civili: la Cassazione 25495/2025 e perché è una svolta

19/09/2025

La Prima Sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 25495 del 17 settembre 2025, ha messo nero su bianco un principio che porta il sistema un passo avanti nella parificazione delle tuteleanche nelle unioni civili lo scioglimento del vincolo può dare luogo all’assegno divorzile, secondo i medesimi criteri sostanziali già applicati nel matrimonio. La Corte non introduce un automatismo, ma fissa in modo chiaro quando e perché l’assegno è dovuto, chiedendo ai giudici di merito un’analisi effettiva (non aritmetica) della situazione economica e della storia della coppia.

La decisione ha una portata in parte “storica” perché consolida la piena cittadinanza dell’unione civile nel diritto vivente: è un istituto distinto dal matrimonio, privo della fase di separazione e dei relativi strumenti (ad es. assegno di mantenimento), ma al momento dello scioglimento opera per espresso rinvio l’art. 5, comma 6, l. 898/1970. Dunque il parametro è quello dell’assegno divorzile, non del “mantenimento”, con tutte le conseguenze su presupposti, finalità e criteri di quantificazione. 

Il cuore dell’ordinanza è duplice. Da un lato, la funzione assistenziale: l’assegno si riconosce quando chi lo chiede non dispone di mezzi adeguati per una vita autonoma e dignitosa e non può procurarseli malgrado l’ordinaria diligenza, secondo il principio di autoresponsabilità post-scioglimento. In questa ipotesi, l’importo non si aggancia al vecchio “tenore di vita”, ma è calibrato sulle esigenze esistenziali concrete.

Dall’altro lato, la funzione perequativo-compensativa: se lo squilibrio economico è l’esito delle scelte condivise di vita (ruoli di cura, rinunce professionali, sostegno alla carriera dell’altro), l’assegno tiene conto del contributo dato alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune o dell’altra parte. Solo in questo secondo scenario l’importo si commisura al contributo e alla durata dell’intera relazione. La Corte richiama espressamente questo schema e precisa che la sola perdita di chance, isolata, non basta.

Proprio sulla durata del rapporto l’ordinanza compie un ulteriore passo di sistema: ribadisce l’indirizzo delle Sezioni Unite n. 35969/2023 per cui si deve considerare anche la convivenza di fatto precedente alla formalizzazione dell’unione civile, persino se iniziata in epoca anteriore alla legge del 2016. È un passaggio di equità sostanziale: ignorare la convivenza pre-legge significherebbe tradire la realtà della vita comune e creare una discriminazione priva di fondamento, in contrasto con l’art. 8 CEDU. In altre parole, il giudice deve leggere tutta la storia relazionale, perché è lì che si misurano davvero sacrifici, scelte e contributi reciproci.

Nel caso concreto, la Cassazione ha censurato la sentenza di appello: pur avendo registrato una disparità di reddito e una perdita di chance professionale, il giudice del merito non aveva verificato se la parte richiedente, che pure disponeva di un impiego pubblico stabile, fosse realmente priva di mezzi adeguati a un’esistenza autonoma (profilo assistenziale), né aveva spiegato in che modo le rinunce fossero state funzionali al menage e alla formazione del patrimonio (profilo compensativo). Da qui la cassazione con rinvio, con un principio di diritto molto netto che allinea unioni civili e matrimonio sul piano dei presupposti dell’assegno divorzile.

Il messaggio operativo è chiaro: niente ritorni surrettizi al “tenore di vita”, nessuna perequazione automatica dei redditi e massima attenzione alle prove. Sul versante assistenziale, contano redditi, patrimoni, età, salute, occupabilità realistica. Sul versante perequativo-compensativo, il nesso causale tra scelte condivise e squilibrio deve emergere in modo concreto, anche attraverso la ricostruzione della durata complessiva del rapporto, convivenza inclusa. È questa, in definitiva, la cifra “storica” della pronuncia: non creare un assegno “speciale” per le unioni civili, ma ricondurre l’istituto alla sua ragione sostanziale, superando formalismi e garantendo tutele effettive a parità di condizioni.

Per chi vive o ha vissuto un’unione civile, la direttiva è semplice da tradurre in pratica: se vi è inadeguatezza dei mezzi non superabile con un diligente sforzo, l’assegno può essere riconosciuto anche da solo in funzione assistenziale; se, inoltre, lo squilibrio nasce da scelte familiari condivise che hanno comportato rinunce e contributiapprezzabili, l’assegno assume anche la funzione compensativa e si determina in rapporto a quel contributo e alla storia della coppia. È un equilibrio fra solidarietà e autoresponsabilità che fotografa meglio la realtà delle famiglie contemporanee.

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